L’operazione Minefield, che aveva messo sotto indagine nel febbraio scorso più di 100 persone operative in quattro continenti, per 21 milioni di false fatture prodotte da società cartiere, si arricchisce di nuovi reati. La Procura di Reggio Emilia ha chiesto l’arresto per i capi dell’organizzazione criminale che dai domiciliari continuavano a guidare l’usura e la riscossione crediti praticata dagli uomini ancora in libertà. Tre di loro, tra cui il figlio di un condannato del maxi processo Aemilia, erano stati fermati alcuni giorni fa grazie alle dichiarazioni alle Forze dell’Ordine di un imprenditore vittima di estorsione.
Gli affari prima di tutto. Anche se sono affari illeciti che generano soldi grazie all’inganno, alla violenza, all’estorsione e alla minaccia. Anche se sei già agli arresti domiciliari da alcuni mesi perché accusato di essere a capo di una organizzazione criminale dedita alla falsa fatturazione e alla truffa ai danni dello Stato. Gionata e Samuel Lecoque, 46 e 39 anni, erano stati arrestati nel febbraio scorso al termine di una complessa operazione denominata Minefield (campo minato), condotta da Guardia di Finanza e Carabinieri, che aveva messo sotto indagine 109 persone con 119 capi di imputazione. La Procura di Reggio Emilia che coordina le indagini li considera i capi della organizzazione internazionale, con sede principale nella città del Tricolore, che attraverso false fatture e società di comodo (una ottantina) offriva al mercato soluzioni facili esentasse per abbattere i costi e aumentare i profitti, con un giro d’affari accertato di oltre venti milioni di euro. Una holding i cui membri operavano in quattro continenti (Grecia, Bulgaria, Pakistan, Albania, Brasile, Egitto, Romania, Polonia, Svizzera, Germania, Marocco) e in quattro regioni italiane (Emilia-Romagna, Calabria, Puglia, Campania). Ai cui vertici secondo l’accusa stavano appunto i fratelli Lecoque, originari della Calabria e residenti in Emilia, assieme all’imprenditore Leonardo Ranati, che nella lussuosa sede reggiana della “Passione Motori srl”, in via Martiri di Cervarolo, chiedeva ai suoi soci quattro anni fa (senza sapere di essere intercettato): “Allora, ci dividiamo ‘sto cazzo di soldi?”
Per i tre era stata disposta in febbraio dal giudice Luca Ramponi la misura cautela dell’arresto domiciliare ma i fratelli Lecoque, secondo l’accusa, non hanno smesso di delinquere e violando i divieti di comunicazione hanno continuato a guidare le attività di “riscossione crediti”, demandate a membri della banda a piede libero ritenuti dalle forze dell’ordine “contigui alla criminalità organizzata di una locale cosca di ‘ndrangheta”. Quale fosse questa cosca lo si deduce da un’altra recente e collegata operazione, condotta pochi giorni fa dalla Squadra Mobile di Reggio Emilia, che ha portato all’arresto di tre persone ritenute responsabili di attività di estorsione e usura per conto della medesima organizzazione criminale. Uno di loro, che aveva più volte minacciato un imprenditore campano finito nella rete, è il figlio di un membro della cosca Grande Aracri/Sarcone condannato in via definitiva nel maxi processo Aemilia.
I legami tra i membri della organizzazione svelata da Minefield e quelli della cosca cutrese trapiantata in Emilia-Romagna erano del resto già emersi delle intercettazioni che avevano portato alle misure cautelari del febbraio scorso. È il terzo capo Leonardo Ranati, in una telefonata dell’ottobre 2020 agli atti, che racconta allo scandianese Giancarlo Valli, soprannominato Veleno: “Se al livello uno c’è Aracri, noi siamo leggermente sotto, quindi abbiamo la massima protezione”. L’altro capisce e chiede: “Quindi sei sotto alla ‘ndrangheta?” e Ranati spiega: “C’è una parte di ‘ndrangheta che, diciamo così, ci consente di fare certe operazioni autorizzate da loro”. E l’altro comunque trema, perché la cosa “Un po’ fa paura, adesso…”.
Il terzo uomo raggiunto dal provvedimento di arresto assieme ai fratelli Lecoque è l’imprenditore emiliano Giambattista Di Tinco, che si muoveva nel mondo delle aziende cercando clienti per l’organizzazione: dirigenti interessati a prestiti in nero o a false fatture. Titolari di impresa che spesso arrivavano a dialogare con la criminalità organizzata, come sottolinea il procuratore Gratteri nel documentario Benvenuta al Nord, non perché in difficoltà economica ma per la ragione opposta: perché gli alti guadagni li spingevano a cercare scappatoie per pagare meno tasse. Di Tinco è stato arrestato mentre si trovava in Puglia ed è accusato in particolare di usura ed estorsione aggravata nei confronti dell’imprenditore campano che si è rivolto alla Guardia di Finanza raccontando la propria storia, simile a quella di tanti altri: la ricerca di una via facile per avere soldi o per abbattere gli utili, poi l’incubo dei prestiti usurai, delle estorsioni, delle minacce.
L’organizzazione svelata da Minefield, come abbiamo sottolineato dopo gli arresti di febbraio, non si accontentava di delinquere nel mercato d’impresa perché contemporaneamente truffava lo Stato con carte false che servivano a ottenere contributi a fondo perduto come quelli previsti dal “decreto sostegni” del 2021, o gli sgravi d’imposta del “decreto rilancio” del 2020, o le integrazioni salariali del “decreto cura Italia” dello stesso anno. Misure pensate per le imprese sane messe in ginocchio dal Covid, e invece utilizzate dalla organizzazione, grazie ad esperti commercialisti, per mettersi in tasca un gruzzolo ulteriore di 112.100 euro. Quattro membri dell’organizzazione tra il 2019 e il 2022 hanno presentato addirittura false dichiarazioni di disoccupazione all’INPS, ottenendo l’indennità mensile NASPI per un importo complessivo di 57.404 euro. Uno di loro è il capo Samuel Lecoque, che pur dichiarandosi disoccupato ostenta ricchezza e non rinuncia alla bella vita. Tanto che l’altro uomo di vertice Leonardo Ranati scuote la testa e commenta in una intercettazione: “Samuel ci ha questa mania: è in disoccupazione e fa vedere che sboccia. Rolex, Lamborghini, gira con dei macchinoni. E la moglie che cazzo fa? Lavorava, adesso è disoccupata anche lei. Risulta che prendono la disoccupazione. Guarda che sono prese per il culo queste, eh!!”
Il comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Emilia sottolinea, dopo l’operazione di Ferragosto, l’importanza dell’azione “capillare e chirurgica a contrasto della criminalità organizzata ed economico finanziaria. Azione diretta a salvaguardare la correttezza del mercato e il rispetto della concorrenza leale, a tutela del rapporto di fiducia tra cittadini e Stato”.
Non si sono “fatti prendere per il culo” e hanno arrestato chi ci ha provato.
Paolo Bonacini