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Nasce a Reggio Emilia l’associazione CLM (Contro Le Mafie) che riunisce anche artigiani calabresi esclusi dalla white list o raggiunti da interdittive. Sotto accusa la prevenzione amministrativa in mano ai Prefetti. Ma lo slogan “discriminati per le parentele e perché cutresi” non regge ai dettagli del recente provvedimento che nega la white list al consorzio Edilgest.

Il primo marzo 2024 il prefetto di Reggio Emilia Maria Rita Cocciufa, vista l’istruttoria del Gruppo Interforze Antimafia, rigetta la domanda di iscrizione alla white list presentata nel 2022 dal consorzio Edilgest, che associa oltre 200 artigiani e imprenditori del settore edile. Quindici giorni dopo, sempre in provincia di Reggio, più di centocinquanta persone partecipano alla nascita di una nuova associazione, chiamata CLM (Contro le mafie – per la cultura della legalità e per i diritti di giustizia). A tenerla a battesimo arriva da Cutro il sindaco del comune calabrese, Antonio Ceraso.

Non è solo la vicinanza temporale a collegare i due fatti. Il Quotidiano del Sud, nell’annunciare l’assemblea al nord, titolava: “Troppe interdittive in Emilia, nasce associazione contro le mafie”. E il Corriere della Calabria, nel commentarla: “’Ndrangheta, a Reggio Emilia gli imprenditori di Cutro contro le interdittive antimafia”. Tra loro, aggiunge il Corriere, “ci sono persone e parenti che sono stati esclusi, anche in modo massiccio, dalle white list o hanno ricevuto una interdittiva antimafia”. Anche Il Resto del Carlino a Reggio Emilia associa alla sigla “Contro le mafie” il secondo obbiettivo della neonata associazione: “Invitare gli inquirenti e le istituzioni a non ragionare soltanto sulla base di parentele o sul criterio del più probabile che non.”

Una domanda sorge spontanea: si può essere allo stesso tempo “contro le mafie” e “contro le interdittive antimafia”? Storia e giurisprudenza consigliano scetticismo. Basterebbe ricordare la campagna di delegittimazione della prefettura reggiana negli anni immediatamente precedenti l’apertura del processo Aemilia, quando l’attacco alle interdittive emesse dall’allora prefetto De Miro partiva dall’assunto: “Non ci hanno contestato nessun reato, ma ci impediscono di lavorare. Questa è discriminazione”. Dimenticando, o facendo finta di non sapere, tre cose. Primo: le interdittive non colpivano solo imprese calabresi (la più importante e devastante raggiunse la Bacchi spa, impresa di movimentazione terra con sede a Boretto, comune di Reggio Emilia, i cui proprietari erano emiliani doc). Secondo: le misure preventive per loro natura non colpiscono i reati accertati ma appunto si pongono l’obbiettivo di prevenirli, con una ormai infinita giurisprudenza (sentenze di primo, secondo e terzo grado) che ne illustra caratteristiche, finalità, legittimità. Terzo: l’interdittiva, allora come nel caso odierno, non impediva di lavorare, perché ostacolava solo la partecipazione ad attività di costruzione commissionate da enti pubblici.

Più di dieci anni dopo, e dopo Aemilia, Grimilde, Perseverance, Radici, Stige, Aspromonte Emiliano (i principali e recenti processi alla mafia infiltrata nell’economia in Emilia Romagna), affrontare il problema con la frase: “Non si può dare una interdittiva per parentela solo perché si viene da Cutro” (Francesco Capperi, vice presidente della neonata CLM) o sostenere che il settore è “In crisi per le interdittive e i dinieghi di iscrizione alla white list” (Luigi Raso Catrambona, presidente della CLM) rischia di spostare l’attenzione dal vero problema che è la continuità col passato o, per dirla con le parole del collaboratore di giustizia Antonio Valerio, che “qui non è finito niente!”

Per rendersene conto basta sfogliare il provvedimento con il quale il prefetto di Reggio Emilia Maria Rita Cocciufa rigetta la domanda di iscrizione alla white list presentata dal Consorzio Edilgest. Non si tratta di una sentenza sommaria che dice in poche righe: siccome molti associati sono cutresi o hanno un cognome scomodo, non li facciamo lavorare. Intanto perché anche in questo caso, come al tempo del prefetto De Miro, nel consorzio non sono associati solo calabresi ma anche diversi emiliani di origine e di famiglia, assieme a campani, pugliesi, siciliani, lombardi e addirittura a stranieri provenienti da Egitto e Albania. Poi perché le 76 pagine del provvedimento mettono a fuoco dettagli ben più preoccupanti di una parentela “alla lontana” per arrivare a concludere che il “rischio” di infiltrazione mafiosa è reale.

Dei tre fondatori del Consorzio, nato nel 2017, uno venne deferito in stato di libertà dalla Guardia di Finanza per associazione a delinquere e ricettazione nel 2005, il secondo è gravato da precedenti di polizia per attività di gestione rifiuti non autorizzata, il terzo è stato deferito in stato di libertà nel 2021 per dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti.

L’atto del prefetto Cocciufa mette inoltre in risalto che, tra gli altri titolari delle imprese individuali consorziate alla Edilgest, sono 31 quelli con precedenti penali o le cui società presentano “elementi di interesse antimafia”. Le condanne individuali, alcune anche in epoca successiva alla nascita del Consorzio, vanno dalla falsa fatturazione alla rapina aggravata al furto continuato in concorso. I precedenti penali riguardano violazioni delle norme sulla edificabilità dei suoli e sul cemento armato, favoreggiamento all’ingresso di clandestini, estorsione, detenzione e spaccio di stupefacenti. Ci sono segnalazioni di frequentazioni con accusati di associazione a delinquere di matrice mafiosa, di incendi, estorsioni, ricettazione di armi, riciclaggio, dichiarazioni fraudolente. Con indagati di falsa fatturazione nel processo Billions e anche con indagati di traffico internazionale di sostanze stupefacenti nell’indagine Aspromonte Emiliano. Poi, certamente, arrivano anche le parentele, che aggiungono all’insieme degli elementi di rischio la lista di cognomi noti alle cronache dei processi per mafia nei nostri territori: Diletto, Grande Aracri, Sarcone, Lerose, Todaro, Brugnano, Oppido, Frontera, Paolini, Mesiano, Silipo, Villirillo, Alleluia, ecc.

Diverse imprese riunite in Edilgest hanno emesso o ricevuto moltissime fatture, dice il provvedimento, tra loro o con altre società già interdette, per oltre mezzo milione di euro. Nel 2022 il consorzio contava un solo dipendente a fronte di un fatturato complessivo di circa quattro milioni e mezzo. L’Edilgest, con la sua domanda di iscrizione alla white list, intendeva accedere agli appalti e ai lavori nel cratere sismico conseguente al terremoto del 2012. Un’area vasta che comprende le province di Reggio, Bologna, Modena Ferrara, Mantova e Rovigo, nella quale l’infiltrazione mafiosa sulle opere di ricostruzione è ampiamente documentata dagli atti del processo Aemilia (prima) e Sisma (ora). La cautela e il rigore nel rispondere a quella domanda erano doverosi.

Citando diverse sentenze, in relazione a ricorsi presentati contro interdittive antimafia, il prefetto Cocciufa conclude ricordando che “L’insieme degli elementi raccolti non vanno guardati in modo atomistico, ma unitario, sì che la valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri”.

Tradotto in parole povere: l’insieme è molto più preoccupante della somma dei singoli casi. Chi avrebbe forse dovuto avere una visione d’insieme è il presidente del Consorzio che aveva presentato l’istanza per l’iscrizione alla white list. Si tratta di Roberto Salati, attuale segretario provinciale della Lega e capogruppo in consiglio comunale. Saputo del rigetto, Salati si è dimesso dall’incarico, dichiarando alla stampa: “Se avessi saputo prima di questo rischio, non avrei mai associato certe persone. Sebbene devo dire che la parentela non può essere una colpa”.

No, una sola parentela non può essere una colpa. Ma centinaia di parentele sono un indicatore di rischio concreto, al quale fortunatamente la legislazione italiana consente di rispondere con strumenti interdittivi che, pur rispettando la presunzione di innocenza, sono utili e necessari a limitare i danni. Strumenti che le recenti innovazioni legislative hanno modificato non in senso repressivo ma a favore delle imprese, ad esempio con la “collaborazione preventiva” introdotta nel 2021. Al fondo resta però un concetto richiamato da una delle più recenti sentenze emesse dal Consiglio di Stato nel 2023: “Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia non sanziona fatti penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto evento si realizzi”.

Più chiaro di così…

 

Paolo Bonacini 

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